DOCUMENTO POLITICO
ABRUZZO PRIDE 2024

Agitate con Cura

LA NOSTRA AGITAZIONE NELLA NOSTRA CURA

 

L’Abruzzo Pride è un inno al cambiamento sociale, promuoviamo con determinazione l’agitazione incessante per i diritti della comunità LGBTQIA+, la pace e l’inclusività. Questa espressione incarna l’impegno costante di spezzare le catene dell’ingiustizia e di costruire un futuro di inclusione e accettazione per tutte le persone, indipendentemente dalla loro identità sessuale.

 

La nostra cura ha una valenza rivoluzionaria che va oltre la sfera individuale. La cura diventa un atto di amore, impegno e sostegno reciproco, fondamentale per sfidare le strutture di potere patriarcali e ciseteronormate che invadono la nostra quotidianità.

 

LA CURA DI NOI

La nostra cura non è solo un’azione individualistica o limitata alla sfera familiare ma si estende alla società nel suo complesso. Si trasforma in un atto di resistenza contro le norme oppressive di genere e l’oppressione sistemica, riconoscendo e valorizzando il lavoro di cura spesso svolto da donne e persone marginalizzate. Questo approccio trasgressivo ci spinge verso una visione più ampia della cura che abbraccia la lotta contro le disuguaglianze sociali e la promozione della giustizia sociale.

 

Siamo moto e strumento per destrutturare le gerarchie di genere, enfatizzando la solidarietà tra tutte le persone, indipendentemente dall’identità di genere. La nostra cura è un atto politico con il quale esaltiamo l’importanza di preservare il proprio benessere in una società che spesso impone standard e performance inaccessibili e discriminanti.

 

La nostra lotta, la nostra agitazione nella cura è pratica intersezionale, politica e rivoluzionaria, orientata a creare una società più equa, inclusiva e rispettosa delle diverse identità di genere. L’obiettivo è trasformare l’individuo in un soggetto relazionale, responsabile e solidale, capace di prendersi cura del mondo come interesse comune. La cura si evolve così in una responsabilità collettiva e politica, riaffermando la parola “comunità” come luogo in cui ogni individuo può esercitare un protagonismo attivo nel prendersi cura di sé, delle altre, della propria comunità, del territorio e dell’ambiente. In questo modo “Agitate con cura” diventa un invito a essere agenti di cambiamento consapevoli e responsabili, contribuendo alla costruzione di un mondo più giusto e inclusivo.

 

LA CURA NELLA PACE

 

Il Pride è un momento di lotta, di orgoglio e di pace. La nostra cura dell’altra non ci fa voltare dall’altro lato.

Il conflitto israelo-palestinese rappresenta un’azione sistematica di uccisione di persone innocenti e una deliberata volontà di negare loro i diritti fondamentali. Non rimaniamo in silenzio di fronte a un contesto in cui si ripete storicamente il genocidio di un popolo, dove la violenza e la privazione dei diritti umani sono una triste costante.

Nella nostra agitazione per la pace, riconosciamo che non possiamo separare la causa dalla necessità di cancellare il sistema patriarcale basato sulla violenza e la dominazione. La violenza perpetuata nel conflitto israelo-palestinese riflette, in molteplici modi, le dinamiche di potere e controllo che caratterizzano il sistema patriarcale. Abbiamo l’obbligo morale di agitare le acque, di infrangere le catene dell’ingiustizia e di costruire un futuro di pace, giustizia e uguaglianza. Abbiamo l’obbligo morale di supportare il popolo Palestinese vittima di un vero e proprio genocidio.

E lì dove l’identità stessa di una persona viene negata e spezzata, la nostra agitazione ci porta a prendere una posizione. Le strade dell’Abruzzo Pride si riempiranno di bandiere palestinesi contro il genocidio, l’oppressione e l’occupazione che questo popolo subisce.

La lotta per la pace diventa cruciale, poiché non intendiamo accettare la perpetuazione di un sistema che nega la dignità e il diritto alla vita delle persone coinvolte nei conflitti. Ci opponiamo a una realtà in cui le onde del mare portano con sé le tragiche conseguenze di azioni che mirano a cancellare intere comunità, minando le fondamenta della giustizia e dell’umanità.

La nostra agitazione non conosce confini poiché riconosciamo la connessione tra le lotte per la pace e la demolizione di strutture patriarcali. Combattiamo non solo contro la violenza di un conflitto specifico (nel mondo ad oggi si registrano oltre 147mila eventi di conflitto e almeno 167.800 vittime – fonte ACLED Conflict Index) ma contro le radici più profonde di un sistema che perpetua la sofferenza umana. Continueremo a essere il vento che spazza via l’ignoranza e la discriminazione, lavorando instancabilmente per un mondo in cui ogni individuo possa vivere in pace e dignità, libera da oppressioni sistemiche e violenze ingiustificate.

 

FROCIAGGINE A NON FINIRE

 

Siamo identità e corpi liberi, rivendichiamo il diritto alla libertà di espressione del nostro io. L’Italia continua a non avere una legge che tuteli le persone della comunità dalla violenza omolesbobitransafobica. Nell’ultimo report ILGA, l’Italia crolla al 36° posto per i diritti delle persone LGBTQIA+. Questi numeri contribuiscono a rendere evidente la società nella quale viviamo con violenze fisiche, verbali e psicologiche all’ordine del giorno e la mancanza di un’educazione mirata al rispetto delle diversità. Le dimostrazioni di una mancata attenzione a questi temi sono continuate: a Maggio, l’Italia in Europa non firma la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità LGBTQIA+ presentata dalla presidenza ai Paesi membri dell’Ue; nell’ultima settimana, invece, alla vigilia del Budapest Pride, l’Italia non firma la lettera di condanna sottoscritta da decine di ambasciate internazionali per le politiche omolesbobitransafobiche del premier Viktor Orban.

Dallo stralcio del DDL Zan, all’instaurazione del Governo Meloni, sono iniziati veri e propri attacchi politici e partitici verso la nostra comunità, e non solo, prendendo di mira prima le famiglie omogenitoriali che accedono alla pratica libera e solidale della Gestazione per Altre, poi la comunità transgender nel percorso di affermazione di genere. Vogliamo una legge giusta che condanni ed educhi chi fa dell’odio e della violenza una bandiera della libertà di parola. Una legge che porti con sé percorsi di formazione in ambito scolastico, lavorativo ed istituzionale che riconoscano le soggettività trans*, non binary e queer, una legge che riconosca e combatta la piaga dell’odio omolesbobitransafobico e abilista, una legge che possa portare alla costruzione di una collettività libera di autodeterminarsi.

Allo stesso tempo, nel riconoscimento della matrice maschilista e patriarcale, vogliamo una legge che educhi alle differenze di genere, che punisca la misoginia e l’abilismo, che destrutturi il sistema malato e marcio nel quale viviamo tutti i giorni.

 

SPAZI DI CURA

 

Rivendichiamo spazi sociali dove poter essere sé stesse nella scuola, nel lavoro e nella pratica sportiva.

Ci agitiamo con le studentesse della nostra regione nella promozione e intenzione di costruire una scuola che ponga al centro l’educazione, il confronto e la valorizzazione delle persone e che non si basi, invece, su una scalata basata sulla competitività, sul mero raggiungimento di un voto. È dunque fondamentale che la scuola, di ogni ordine e grado, evolva per rispondere alle esigenze attuali della società. Non possiamo permetterci di mantenere un sistema educativo anacronistico che non riesca a comprendere e rispondere alle necessità delle nuove generazioni.

Uno degli aspetti più critici è l’educazione ai sentimenti e all’affettività. Le giovani generazioni crescono in un mondo sempre più complesso dal punto di vista emotivo e relazionale. Senza un’educazione adeguata, rischiamo di avere adulte incapaci di gestire le proprie emozioni e le relazioni con le altre. Chiediamo con forza l’inserimento di percorsi per l’educazione all’affettività e alla sessualità, sul bullismo omolesbobitransafobico, sull’educazione sessuale e sulle infezioni sessualmente trasmissibili, sull’ivg, sull’aborto e sull’autodeterminazione dei corpi, percorsi che diventino parte integrante del curricolo scolastico, affrontati con serietà e competenza, per promuovere una maggiore consapevolezza e rispetto reciproco. Nello stesso tempo la nostra attenzione alla cura si esplica nella richiesta di strutturare sportelli d’ascolto e psicologici gratuiti per tutte le studentesse che ne sentano la necessità, per prevenire malesseri e tentativi suicidari, per costruire una narrazione e una modalità di intervento che pongano al centro il benessere e l’attenzione alla salute mentale.

Al fine di garantire l’accesso al diritto allo studio chiediamo l’istituzione della carriera alias senza certificazione medica nelle scuole e nelle università per tutte le persone trans* e non binary. La scuola deve diventare uno spazio inclusivo dove ogni persona possa sentirsi accolta e rispettata, indipendentemente dal genere, dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere. Questo implica non solo la sensibilizzazione e la formazione del personale scolastico ma anche la revisione dei regolamenti e degli spazi scolastici affinché siano davvero inclusivi e rispettosi delle diversità. Non possiamo accontentarci delle sole pratiche virtuose di alcuni istituti.

 

Vogliamo lavorare in ambienti di lavoro liberi e dignitosi.

Ancora oggi troppi lavori non garantiscono una vita dignitosa. Costruirsi una propria indipendenza ed autonomia diventa sempre più complicato tra abitazioni in affitto introvabili, soprattutto sulla costa abruzzese, e lavori con salari che non permettono l’acquisto di una casa. Vogliamo lavori che garantiscano una paga equa, il riconoscimento di tutti i diritti alle lavoratrici LGBTQIA+, la costruzione di ambienti di lavoro dove poter essere libere di essere se stesse anche tramite l’utilizzo della carriera alias. Inoltre, rivendichiamo la dignità e il riconoscimento professionale del lavoro di sex worker, lì dove svolto in maniera libera e autodeterminata.

 

Non possiamo continuare ad accettare condizioni di lavoro precarie che si basano, spinte da un sistema capitalista, sullo sfruttamento delle lavoratrici: il caporalato è una pratica illegale che viola il diritto al lavoro e la dignità della persona. La morte di Satnam Singh è l’ennesima dimostrazione di una parte di paese che non rispetta le identità migranti, che le sfrutta, facendo forza sulle condizioni di difficoltà economica.

 

LA CURA DEI NOSTRI LEGAMI

 

La nostra agitazione si intensifica in risposta a un governo che impone limiti all’autodeterminazione dei corpi, ostacola l’accesso all’aborto e costringe le persone a conformarsi a un canone patriarcale arcaico, che prevede la sola formazione di famiglie che rispecchiano il modello patriarcale di un uomo e una donna. Ci opponiamo ad un sistema che non riconosce la diversità delle esperienze familiari e che, di conseguenza, nega la possibilità di realizzare famiglie che esulino da questo rigido schema.

In questo contesto, la nostra agitazione è alimentata dalla lotta per una genitorialità libera, che permetta a tutte le persone di scegliere come costruire e definire la propria famiglia, senza discriminazioni legate a stereotipi di genere obsoleti, senza ingerenze cattoliche. Crediamo nella necessità di un approccio inclusivo che rispetti le molteplici forme di genitorialità, affermando il diritto di ogni individuo ad essere genitore, in base alle proprie scelte e desideri. I nostri legami sono la libera espressione dei nostri bisogni e rivendichiamo il riconoscimento degli stessi. Continuiamo a chiedere il diritto all’adozione per tutti i nuclei di legami che compongono la nostra comunità. Chiediamo un superamento della legge dell’Unione Civile, che non solo pone le coppie omosessuali su un livello di diritto inferiore rispetto a quelle eterosessuali ma non vede, e ignora, tutte le altre forme di famiglia esistenti. Nel compimento del diritto alla famiglia, chiediamo che ogni persona con il desiderio di genitorialità possa esercitare tale diritto attraverso l’accesso all’adozione, sia per le coppie omosessuali che per le persone singole che per tutte le altre forme sociali che riconosciamo valide alla strutturazione di una “famiglia”.

 

AGITAZIONE TRANS*

 

Tra gli attacchi del Governo Meloni alla nostra comunità non possiamo non riportare, con preoccupazione, i vili attacchi alla comunità trans*. Il più vile è avvenuto colpendo l’Istituto Careggi e i percorsi di affermazione di genere. Attacchi ai quali si aggiungono gli interventi di parlamentari che offendono le soggettività transgender, riferendosi a loro con il dead name o riportando tutto ad una mera lotta ideologica.

La nostra agitazione è forte nel sostenere le persone trans* nel loro percorso di affermazione di genere. Ci opponiamo a un governo che, invece di facilitare e sostenere questo processo, crea ostacoli che mettono a dura prova la salute mentale e il benessere delle persone trans*. Rivendichiamo il diritto all’autodeterminazione di genere e ci battiamo per una società che accolga e rispetti pienamente le identità di genere diverse.

In definitiva, la nostra agitazione è una risposta vibrante alle politiche che minano l’autonomia e la libertà delle persone nei loro percorsi personali e familiari. Continueremo a lottare per un governo che riconosca e rispetti la varietà delle esperienze umane, promuovendo un contesto in cui ogni individuo possa vivere autenticamente, senza discriminazioni e senza compromettere il proprio diritto all’autodeterminazione e alla realizzazione di una vita familiare soddisfacente. Chiediamo un libero accesso agli ormoni attraverso le farmacie ospedaliere regionali secondo la legge: in Abruzzo ci troviamo di fronte a un vero far west che delega a ogni Asl le modalità di accesso, impedendo alle soggettività T* di accedere a farmaci salvavita.

In tutti gli ambienti sociali come sport, lavoro, pubblica amministrazione, scuola e università chiediamo l’istituzione di carriere alias, affinchè tutte le persone transgender possano affermarsi nella vita di tutti i giorni senza attendere iter burocratici estenuanti e costosi, rispettando il principio all’autodeterminazione.

 

A SUPPORTO DELLE PERSONE NON-BINARIE

 

Siamo agitate come persone non binary in quanto invisibili. La nostra identità si scontra giornalmente con un sistema binario che non solo non ci vede ma ci obbliga ad esprimere noi stesse secondo canoni che non ci rappresentano.

Le nostre identità sono non binarie e fluide. I nostri corpi nella piena espressione di sé ci rappresentano. Ogni giorno lottiamo per affermarci e per esistere.

Nonostante le poche eccezioni in ambito europeo, in Italia le identità non binarie non sono riconosciute. Rifiutiamo il binarismo di genere e chiediamo un altro e nuovo modello culturale. Siamo agitate perché vogliamo una società nella quale la piena autodeterminazione delle persone non binary passi attraverso rivoluzioni di linguaggio che vadano oltre il binarismo, vogliamo un modello burocratico che non obblighi le soggettività non binary e queer ad entrare forzatamente in canoni che non le rappresentano, un sistema di documenti d’identità che non preveda nessuna indicazione di genere.

Vogliamo un libero accesso, senza ostacoli terzi, al microdosing per una piena affermazione dell’autodeterminazione di sé.

 

NON MONOGAMIE, ANARCHIA RELAZIONALE E SESSUOFOBIA

 

Agitiamo il castello di carta dei modelli relazionali cosiddetti tradizionali.

Cresciamo in un paese in cui le certezze sistemiche sono binarie e semplicistiche, molte di noi realizzano presto la sensazione che queste non ci appartengano. Cresciamo in un paese in cui il modello relazionale e sessuale è solo ed esclusivamente fatto da un uomo e una donna, in una relazione monogama, dove il consenso non è un fatto e viene barattato con il contratto matrimoniale. All’interno di questa equazione, molte di noi non hanno uno spazio di realizzazione e di felicità poiché in questi modelli non ci riconosciamo, non ci sentiamo realizzate. Molte di noi scoprono, grazie all’esperienza e ai luoghi di aggregazione, che un diverso modello relazionale è possibile e che il sesso al di fuori di concetti moralizzanti e patologici è, di fatto, la norma.

Le non monogamie sono di forme, colori, genere, sesso, complicità e progettualità infinite. Avere una propria famiglia per persone impegnate in una relazione non monogama non è impossibile ma di fatto questa forma ha diritti limitati, così come è limitata la legislazione a riguardo. Avere una casa da condividere con la propria famiglia non monogama è possibile, ma non c’è tutela di tutte le componenti della conformazione famigliare. Lasciare in eredità i propri beni a tutte le componenti della famiglia è materia di diritto civile e non del diritto di famiglia, riducendo le proprie compagne di vita a un legame più simile a quello che si può avere con un vicino di casa.

Tra le innovazioni più promettenti e utili alla comunità c’è il concetto di co-housing, una forma di abitazione condivisa che promuove la creazione di nuclei relazionali basati sulla collaborazione e sul supporto reciproco, superando i limiti del classico modello familiare eterocentrico e cattolico. Non è solo un modo alternativo di vivere, ma una vera e propria rivoluzione culturale perché propone un’idea di comunità in cui le persone, pur mantenendo la propria indipendenza, condividono spazi e risorse, rafforzando i legami e favorendo una rete di mutuo aiuto. Questo modello di vita comunitaria si adatta meglio alle esigenze di una società in cui la diversità e la fluidità delle forme familiari stanno diventando sempre più la norma. Immaginiamo una realtà in cui le case non sono più spazi isolati, ma nodi di una rete sociale che unisce persone di ogni età, orientamento sessuale e credo religioso permettendo di superare la solitudine e l’isolamento, promuovendo uno stile di vita basato sulla condivisione e sul sostegno reciproco. Dobbiamo ripensare gli spazi urbani e le modalità abitative in funzione di un nuovo paradigma di relazioni umane, che valorizzi la cooperazione e l’inclusività. La visione cattolica ed eterocentrica ha dominato la concezione della famiglia e della comunità per secoli ma oggi è evidente che non è più sufficiente per rispondere alle esigenze di una società in evoluzione.

Agitiamo il castello di carta del matrimonio istituito perché non ci comprende e vogliamo costruire un nuovo istituto che tuteli anche quei modelli relazionali che non sono monogami, che non sono eteronormati e che concepiscano diversi contributi al nuovo modello relazionale e familiare.

Tutto questo si collega, inevitabilmente, a quanto le forme di possesso, soprattutto del corpo e quindi della sessualità, siano centrali nelle relazioni monogame e comunemente accettate (o tollerate). Passiamo gran parte della nostra esistenza a sentirci sbagliate e incomprese perché amiamo il sesso, la masturbazione o le pratiche kinky e bdsm, come se questo abbia qualcosa a che fare con la nostra fibra morale o etica. Il retaggio di centinaia di anni di fondamentalismo religioso che ha controllato i nostri corpi attraverso la dottrina del peccato ci ha portato a dubitare dei nostri desideri e delle potenzialità del nostro corpo. A questo noi ci opponiamo con fermezza.

I nostri corpi sono anche desideranti, condividono emozioni, sudore e piacere tra di loro. Pensare che i nostri corpi debbano essere in grado di provare piacere solo in funzione della riproduzione o dell’amore è lontano dalla realtà, e quantomeno riduttivo.

Noi agitiamo e agiteremo i nostri corpi con cura, per il piacere e sempre nel pieno consenso.

 

PER L’AUTODETERMINAZIONE NELLE RELAZIONI

Il movimento LGBTQIA+ nasce anche come rivoluzione sessuale, rivendicando una sessualità libera e consapevole. Non possiamo non riconoscere e affermare il nostro essere agitate anche per una piena visibilità e riconoscimento delle persone asessuali e aromantiche. Ci autodeterminiamo anche come persone asessuali, demisessuali, autosessuali o in area grigia.
Così come viviamo la nostra sessualità liberamente, lo stesso pretendiamo e facciamo nella nostra sfera romantica.
Chiediamo piena visibilità dei nostri vissuti e della nostra sfera romantica come persone aromantiche, romantiche o demiromantiche. Siamo noi a determinare la cura su base romantica con la quale viviamo le nostre relazioni.

 

I NOSTRI CORPI

 

Quello che vogliamo è l’inclusione delle nostre voci nel discorso: non solo con i nostri riferimenti e le nostre conoscenze, ma nella strutturazione stessa delle frasi e del ragionamento che lo costruisce. Come dice Woolf, la nostra è una forza creativa, non una differenza innata, prodotta dalla disciplina dell’esclusione che come tale può essere rivendicata. Un motore che dà luogo a una democrazia della cura che è cura della democrazia. Una forza femminista che è data dal parlare con le altre, non per le altre.

Il piano dei diritti, su cui spesso si pongono le lotte di potere, da solo rischia di non essere sufficiente se non avviene un cambiamento anche nell’immaginario, nelle relazioni: se non si sovverte cioè anche l’ordine simbolico delle cose.

Fare politica per noi è accendere il desiderio, non cristallizzare le identità, perché siamo in tante ed abbiamo vissuti differenti: non è declinare un decalogo delle buone attiviste, ma agire le pratiche, i posizionamenti; è autodeterminazione. Rispetto alla grammatica del potere istituzionale e patriarcale i nostri vissuti non si possono portare in quelle logiche, ma vogliono deflagrare nel conflitto attraverso la pratica del desiderio.

È una questione di giustizia sociale per sovvertire l’invisibilizzazione dei nostri corpi e delle nostre voci: bisogna avere troppo stomaco per ciò che il potere fa in nostro nome.

Per questo vogliamo una legge che non punisca l’abilismo attraverso una chiave di lettura pietistica, ma una legge che riconosca nella persona con disabilità una persona, con aspirazioni e identità sessuali. Abbiamo bisogno di vedere totalmente superato quel paradigma culturale, ormai vecchio, con cui si guardava alla disabilità. Siamo persone con disabilità che amano, che fanno sesso, che abitano il mondo a partire da loro stesse. I nostri corpi non conformi lo sono secondo una visione eterocispatriarcale bianca occidentale che ha deciso, per sete di dominio, quale fosse la norma. Noi siamo qui per sovvertirla, contraddirla, farla letteralmente deflagrare.

Siamo stanche di sentirci inadeguate e devianti nei nostri corpi grassi, corpi che non vengono curati perché hanno l’indifendibile colpa di essere grassi. Perché è il corpo grasso che, secondo la società della performance, uccide – e non le patologie che lo affliggono. Smettiamo di sottoporci a visite mediche perché nella quasi totalità dei casi tutto viene ricondotto a quello: il nostro corpo non ordinario e disordinato è la causa certa e voluta da noi di ogni nostro male, motivo di stigma sociale medico, emotivo e relazionale.

Noi persone grasse passiamo la nostra vita a sentir paragonata la condizione della grassezza a una disgrazia fra le peggiori, passiamo la nostra vita a subire micro-aggressioni che vanno dal fat talk al fat shaming. Non ci importa quanto siete dimagrite, o che lo stiate facendo per una questione di vostra salute! Per noi è molestante comunque, non ci interessano le vostre buone intenzioni. Per noi è violento e voi siete grassofobiche, anche se mimate umiltà e comprensione!

 

La nostra sicurezza, prosperità e felicità si basa sulle alleanze fra persone oppresse dalla conformità, dall’eteropatriarcato e dal capitalismo. Quando le creature mostre si incontrano e si autorganizzano quelle alleanze diventano transfemminismo: (…) se il fascismo é riduzione all’uno, culto dell’unanimismo, egoismo, odio per tutto ciò che è escluso dalla comunità immaginata dai vertici, il transfemminismo è costitutivamente antifascista! orizzontale plurale composito meticcio, frammentario persino e anche conflittuale. e significa anche che abbiamo bisogno di un’analisi intersezionale che oltre all’oppressione di genere tenga conto del piano della classe e della razza.[1]

 

Sempre nel principio di autodeterminazione del nostro corpo continuiamo a chiedere una legge che permetta di autodeterminarsi fino alla fine: vogliamo una legge che garantisca il diritto al fine vita. Siamo libere e vogliamo essere libere fino alla fine.

La nostra cura è anche per i corpi vecchi perché vogliamo poter essere soggette dei nostri desideri fino in fondo, non diminuite, scadute perché rese inabili alla funzione per cui dicono che siamo state create, nell’incombere della vecchiaia: ci ribelliamo e non vogliamo obbedire alla legge del mercato dei corpi eterni. Nel 1960 le persone con più di 65 anni erano il 9%, oggi sono il 23%, la vecchiaia in Italia è un fenomeno di massa, ma nessuno sembra accorgersene e la richiesta è quella di essere giovaniformi il più possibile. Senza un pensiero né delle leggi adeguate al miglioramento delle vite umane nell’ultimo tratto di strada. Le persone vecchie sono rese invisibili dal sistema di sfruttamento e dell’iper-lavoro capitalista, costrette a non avere una voce per chiedere di progettare una vita che duri tutta la vita, e non due terzi.

Con Lidia Ravera diciamo che “il Terzo Tempo della vita è un buon momento per esercitarsi a cambiare”!

 

AGITATE PER I NOSTRI DIRITTI RIPRODUTTIVI E PER LO SFRUTTAMENTO DEL LAVORO RIPRODUTTIVO

 

Far crescere l’azione, il pensiero e i desideri per proliferazione, giustapposizione e disgiunzione, anziché per suddivisione e gerarchizzazione «La violenza opera modellando un desiderio normativo che si impossessa del corpo e della coscienza convincendo l’uno e l’altra a identificarsi con il processo stesso di estrazione della potentia gaudendi e di distruzione della vita. La prima cosa che il potere estrae, altera e sopprime è la nostra capacità di desiderare un cambiamento.»[2]

 

Servono delle armi potenti e rivoluzionarie per disfarsi di questa vergogna, della paura di farci vedere e sentire, di vederci e sentirci, dovendo scoprire di vivere in incarnazioni meno anestetiche, meno perfette, meno pulite, composte, ordinate, simpatiche, preparate, normali, amabili, scopabili, comprensibili e traducibili di come ci pensiamo o come vorremmo che ci pensassero. Ma le stesse armi servono anche a scoprire di avere meno paura, di essere meno sole, deboli, fragili e dipendenti di come ci aspettiamo, a scoprirci completamente anormali e quindi generosamente imprevedibili.

Se diciamo no è NO. Se cambiamo idea è NO. Se non diamo il nostro consenso esplicito è NO. Alla luce dell’ennesima sentenza-vergogna secondo cui non è violenza se si aspettano 20 SECONDI per esplicitare il proprio dissenso, ancora una volta diciamo che il consenso può essere solo libero, esplicito e revocabile in qualsiasi momento.

In Italia scontiamo la tragica carenza di leggi in materia di consenso: ce n’è un estremo bisogno e questo ennesimo caso lo dimostra.

 

Abbiamo sempre abortito e sempre abortiremo.

L’aborto accade da sempre, anche se non da sempre e non ovunque è una scelta non solo personale ma anche collettiva, men che meno politica. Ecco perché lottiamo per l’accesso all’aborto libero-sicuro-gratuito, ecco perché lottiamo per la giustizia riproduttiva.

Il punto che ci interessa segnare è il passaggio dall’io al noi: noi abbiamo sempre abortito, non io, non tu da sola.

Noi che abbiamo sempre abortito e sempre abortiremo vogliamo giustizia riproduttiva e oggi, nel rivendicare l’accesso all’IVG e alla contraccezione, abbiamo imparato a rivendicare l’accesso alla genitorialità in mondi non intossicati dal tecnocapitalismo e in relazioni non eterosessuali, non monogame. Oggi definiamo l’orizzonte transfemminista e transnazionale della giustizia riproduttiva cogliendo le intersezioni tra l’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e la razza e la classe, superando i limiti dei femminismi bianchi.

Oggi la giustizia riproduttiva diventa multispecie perché la riproduzione delle persone umane è sempre correlata a quella degli ecosistemi e delle altre forme di vita che li popolano: se l’accesso all’aborto ci è negato o ostacolato in nome di un preteso diritto alla vita dell’embrione, come si determina questo se consideriamo le condizioni di vita sul pianeta Terra, oramai fortemente minate dallo stesso fronte neofondamentalista-neoliberista- antiambientalista che ci sottrae autodeterminazione sessuale e riproduttiva?

In altre parole ci chiediamo come la riproduzione umana, oggi perseguita quasi globalmente tramite il sistema ri/produttivo capitalista, impatta sulla vita delle altre specie?

Perché ci viene ingiunto dal sistema eterocispatriarcale di riprodurre la vita, se questa vita è di fatto oramai resa impossibile a causa di una crisi ambientale planetaria di cui l’uomo bianco non vuole prendersi cura? Perché avere cura degli embrioni, se non si cura il pianeta in cui li si vuole far nascere?

Non ci stupiamo se chi dice di difendere la vita del non-nato non ha cura della vita delle persone già nate e degli ecosistemi in cui crescono. A loro, neofondamentalisti liberisti,

interessa soltanto la riproduzione dello stato nazione, non certo l’accoglienza delle persone già nate, che siano esse migranti, figlie di due mamme o bambine trans*.

Il capitalismo moderno ha reso egemonica la famiglia borghese mononucleare, con i suoi ruoli di genere binari, conferendo così una nuova e potente spinta propulsiva al patriarcato.

I femminismi progressisti hanno evidenziato come questo capitalismo si basi su una divisione di genere del lavoro, mirando ad una espansione illimitata del profitto, che riesce a produrre dall’estrazione di plusvalore dal lavoro produttivo salariato, ma anche – e soprattutto diremmo noi – dal lavoro riproduttivo non pagato, in larga parte ancora svolto dalle donne.

Per questo ci siamo noi, che non vogliamo stare zitte e ferme, pronte a difendere l’accesso all’aborto libero-sicuro-gratuito e a rivendicare anche un mondo in cui si nasca e si cresca, “nel miglior ambiente possibile per affrontare la vita”.

Noi che ci sentiamo a casa nostra nei movimenti transfemministi, nei collettivi e nelle associazioni femministe che negli anni hanno tessuto reti e lotte per l’autodeterminazione sessuale e riproduttiva. Come ha detto Liana Borghi perché ci sia un’alleanza tra soggettività si deve «creare uno stimolo per abitare nel presente un mondo altro, interrogarsi sul proprio posizionamento e sui propri privilegi».

Rimandiamo al mittente ogni provocazione riguardante la GPA. Vedere la Lega di Salvini sventolare la bandiera dell’inasprimento del DDL Varchi con un emendamento che chiede 10 anni di carcere e 2 milioni di euro di multa per chiunque acceda alla pratica di gestazione per altre, con la richiesta di punibilità dei pubblici ufficiali che eventualmente registrino le bambine nate tramite GPA è, come giustamente affermato da Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno, un evidente tentativo leghista di posizionarsi più a destra di Fratelli d’Italia che lascia senza parole.

Siamo e sempre saremo dalla parte delle Famiglie Arcobaleno.

 

VERSO UN ABRUZZO PRIDE ANCHE ANTISPECISTA

L’antispecismo è un movimento filosofico, politico e culturale in opposizione all’antropocentrismo e all’ideologia del dominio veicolata dalla società umana.

Si oppone alla convinzione, ritenuta pregiudiziale, secondo cui la specie umana sarebbe superiore alle altre specie animali e sostiene che l’essere umano non possa disporre della vita e della libertà di esseri appartenenti a un’altra specie.

Norberto Bobbio, Filosofo del Diritto, in un saggio pubblicato nel 1994, parlò dell’estensione del Principio dell’Uguaglianza agli animali: «Mai come nella nostra epoca sono state messe in discussione le tre fonti principali di disuguaglianza: la classe, la razza ed il sesso. La graduale parificazione delle donne agli uomini, prima nella piccola società familiare e poi nella più grande società civile e politica, è uno dei segni più certi dell’inarrestabile cammino del genere umano verso l’eguaglianza. E che dire del nuovo atteggiamento verso gli animali? Dibattiti sempre più frequenti ed estesi, riguardanti la liceità della caccia, i limiti della vivisezione, la protezione di specie animali diventate sempre più rare, il vegetarianesimo, che cosa rappresentano se non avvisaglie di una possibile estensione del Principio di Eguaglianza al di là addirittura dei confini del genere umano, un’estensione fondata sulla consapevolezza che gli animali sono eguali a noi uomini, per lo meno nella capacità di soffrire? Si capisce che per cogliere il senso di questo grandioso movimento storico, occorre alzare la testa dalle schermaglie quotidiane e guardare più in alto e più lontano»

Abbracciamo anche le parole del fondatore dell’utilitarismo moderno, il Filosofo Jeremy Bentham, il quale scrisse: «Verrà il giorno in cui gli animali acquisiranno Diritti […] Il problema non è “Possono ragionare?”, né “Possono parlare?”, ma “Possono soffrire?”» Come Abruzzo Pride intendiamo continuare il cammino intrapreso lo scorso anno spinte dal rispetto anche verso l’ambiente e il mondo animale. Camminiamo con una crescente attenzione al mondo antispecista.

 

 

Autodeterminate, libere e agitate per un Abruzzo Pride Forte Gentile e Orgoglioso.

Coordinamento Abruzzo Pride

Arcigay Chieti Sylvia Rivera
Arcigay «Massimo Consoli» L’Aquila
Arcigay Teramo La Virtuosa
Jonathan – Diritti in Movimento
Marsica LGBT
Mazì – Arcigay Pescara
Presenza Femminista


[1] tratto da LA MOSTRUOSITRANS per una alleanza transfemminista fra le creature mostre
[2] P. B. Preciado